Nel giro di poche ore molte farmacie della capitale hanno terminato le scorte di lattoferrina poiché, da un rapido passaparola, è emerso che la proteina sopra citata potrebbe avere funzione protettiva contro Covid-19. La corsa in farmacia deriva dal fatto che in questi giorni è stata diffusa nuovamente la notizia di uno studio autorizzato dal comitato etico del Policlinico Tor Vergata di Roma, pubblicato nel luglio scorso, che indaga sul “ruolo della lattoferrina orale e intra-nasale nel trattamento di pazienti Covid-19 da lieve a moderato e asintomatici per prevenire e trattare la malattia” [1]. Ma procediamo con ordine.
Cos’è la lattoferrina?
Parliamo di un nutriente (precisamente una glicoproteina) che si trova soprattutto nel latte materno e in generale dei mammiferi, ma anche in alcune mucose come la saliva, le lacrime e in alcune cellule preposte alla risposta immunitaria dell’organismo. La lattoferrina viene prodotta abbondantemente nelle fasi iniziali dell’allattamento e, oltre ad essere un’importante fonte di ferro, compie un’efficace azione protettiva nei confronti della mucosa intestinale del neonato, che viene protetto da eventuali infezioni microbiche, le quali spesso causano le coliche del neonato [2]. Grazie alla sua funzione protettiva contro le infiammazioni gastrointestinali dei neonati è disponibile in commercio sotto forma di integratore alimentare.
Una cosa importante che può aiutarci a capire cosa sta accadendo: la lattoferrina presente in commercio non è un farmaco ma un integratore. Per questa ragione l’Agenzia Italiana del Farmaco non può “regolare” le prescrizioni fatte per questo prodotto.
Per cosa è utile la lattoferrina?
Della lattoferrina sono sottolineate proprietà antibatteriche, antiossidanti e immunoregolatrici [3]. Inoltre, di particolare importanza è la sua capacità di trasportare il ferro all’interno del sangue, è in grado di sottrarlo o eliminarlo dai microrganismi patogeni – che da esso dipendono – presenti nell’organismo, causandone quindi l’eliminazione dal sangue.
Le presunte proprietà della lattoferrina possono avere un ruolo anche nel contrasto ai coronavirus?
I dati che derivano dagli studi condotti non permettono di rispondere in modo definitivo a questa domanda. Gli autori dello studio del Policlinico di Tor Vergata citato all’inizio affermano che la lattoferrina “possiede delle proprietà antivirali estendibili al SARS-CoV-2” [1] e “poiché è noto che interferisce con alcuni dei recettori utilizzati dai coronavirus, (la lattoferrina) può contribuire utilmente alla prevenzione e al trattamento delle infezioni da coronavirus” secondo quanto suggeriscono gli autori di un articolo pubblicato da Frontiers in Immunology [4], una rivista pubblicata da una casa editrice di discutibile affidabilità [5].
Dottore, la ricerca di cui si parla che caratteristiche aveva?
Gli autori dello studio hanno coinvolto 32 pazienti con Covid-19, età media di circa 55 anni, 22 dei quali presentavano sintomi da lievi a moderati mentre 10 erano asintomatici. La comorbilità più diffusa era l’ipertensione, seguita da malattie cardiovascolari e demenza in piccola percentuale. Nonostante lo studio si presenti come “randomizzato” i pazienti sono stati selezionati consecutivamente, quindi non in modo casuale.
Gli esiti dell’intervento somministrato (la lattoferrina) sono stati messi a confronto con quelli ottenuti in un gruppo di controllo composto da 32 volontari sani, negativi ai test per SARS-CoV-2, che non ricevevano alcun tipo di trattamento.
Nei 22 pazienti sintomatici trattati si è registrata la remissione dei sintomi in un lasso di tempo compreso tra 15 e 30 giorni. Inoltre, è stata registrata la negativizzazione di tutti i pazienti [1].
Ottime notizie, non è vero?
Consideriamo alcuni aspetti più da vicino.
Primo, lo studio non è ancora stato sottoposto a revisione critica di altri ricercatori (peer-review), essendo stato inserito in un archivio di articoli in prepubblicazione disponibili alla consultazione. Secondo, il limite della numerosità estremamente bassa delle persone coinvolte nello studio – riconosciuto anche dagli stessi autori – potrebbe compromettere la validità stessa dei risultati. Terzo, la validità è messa in discussione anche dall’assenza di confronto con un placebo o con un trattamento attivo, come spiegano gli autori di una lettera al direttore di Quotidiano Sanità: “È un aspetto delicato ai fini della validità dei risultati, perché la scelta del confronto/comparatore rispetto al quale giudicare il trattamento in studio e le modalità di allocazione ai due bracci di intervento sono essenziali. L’ipotesi nulla è che i trattamenti messi a confronto siano ugualmente efficaci, e questo è più facile da giudicare se il comparatore non ha effetto, cioè un placebo” [6].
Tuttavia, proseguono gli autori della lettera, “la cosa che almeno in certa misura sorprende è che il decorso della malattia nei 32 pazienti arruolati non sia stato messo a confronto con quello di altrettanti pazienti ai quali fosse stato erogato lo ‘standard of care’ sul quale la comunità scientifica avesse raggiunto un consenso nell’aprile 2020” [6].
Nonostante si tratti di risultati ottenuti da uno studio dalla metodologia poco rigorosa, condotto su pochissimi pazienti e ancora non sottoposto a revisione critica, i risultati evidenziati dalla ricerca sono stati inopportunamente anticipati anche durante un servizio del Tg regionale del Lazio andato in onda il 13 luglio scorso, tornato a circolare nella seconda metà di ottobre in relazione al nuovo aumento dei contagi da Covid-19.
Dunque, i risultati esposti nella ricerca necessitano di una rigorosa verifica. La necessità di ulteriori ricerche è stata chiarita anche da uno degli autori della ricerca, Stefano Di Girolamo, responsabile dell’unità di Otorinolaringoiatria del Policlinico Tor Vergata Centro Covid 4. Durante un’intervista per il quotidiano Il Messaggero, Di Girolamo ha spiegato che “dal punto di vista clinico i risultati finora sono molto incoraggianti ma abbiamo bisogno di continuare per avere dei dati statistici ed evidenze ulteriori”. La lattoferrina non potrà sostituire in nessun caso una cura alla Covid-19, tantomeno una campagna di vaccinazione, dal momento che “è una sostanza che facilita l’azione immunologica, da sola non può sconfiggere il virus ma è capace di rendergli l’ambiente meno ospitale”, ha spiegato ancora Di Girolamo [7].
Perché è rischioso riporre troppa fiducia in questi risultati?
“Offrire una cura alle persone che oggi soffrono a diversi livelli di gravità della malattia causata da SARS-CoV-2 è l’obiettivo di tutta la comunità scientifica e delle istituzioni sanitarie” affermano gli autori della lettera pubblicata da Quotidiano Sanità. “C’è un drammatico bisogno di terapie efficaci e questo può portare a ritenere accettabile condurre studi comparativi di modeste dimensioni così come studi osservazionali o analisi di serie di casi non controllate, sperando che i risultati possano suggerire un percorso efficace” [6].
“In questo caso, una ricerca – nel migliore dei casi – ancora immatura porta alla prescrizione di un integratore alimentare il cui costo è a totale carico del paziente. […] La domanda di cura da parte del paziente eventualmente percepita dal medico non può essere una giustificazione per la prescrizione di preparati il cui uso non è sorretto da adeguate prove di efficacia: mai come oggi, in corso di pandemia sono necessarie scelte rigorose sia da parte dei clinici, sia dei ricercatori sia delle istituzioni sanitarie” [6].
Dottore, ma chi dunque può trarre beneficio da notizie di questo tipo?
È improbabile siano i pazienti. Qualcuno potrebbe pensare che il ricorso a un prodotto di questo tipo possa essere suggerito dall’esigenza di mostrare attenzione nei confronti del malato che richiede comunque una cura. Anche in un caso del genere, però, si tratterebbe di una prescrizione inappropriata perché ancora non basata su solide evidenze scientifiche. Anche perché espone il cittadino a una spesa potenzialmente non giustificata: dobbiamo considerare, infine, che il mercato della lattoferrina valeva 190 milioni di dollari nel 2018 e per effetto delle attività di marketing si prevede si espanda nel 2027 fino a 380 milioni [8].
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