Informazione e pareidolia: vedere volti dove non ci sono
Sicuramente è capitato a tutti di vedere dei volti dove in realtà non ci sono. Per esempio guardando una casa in cui le finestre diventano occhi e la porta una bocca, oppure la corteccia rugosa e contorta di un albero, o una borsa, un macchinario qualsiasi, un toast bruciacchiato, una nuvola, una roccia ecc. Questo fenomeno si chiama pareidolia, ed è ben conosciuto e studiato in neuroscienza. Esperimenti in cui si proiettavano delle luci sulla pancia di donne nel terzo trimestre di gravidanza hanno rivelato che già prima della nascita i bambini hanno una preferenza per i volti.
Naturalmente il nostro cervello non si limita a calcolare quanto un oggetto somigli a un volto: allo stesso tempo ci comunica l’informazione che non si tratta realmente di un viso ma solo della disposizione casuale di strutture che somigliano vagamente agli occhi, al naso e alla bocca di una persona.
A me piace pensare che questo curioso fenomeno abbia in parte a che fare con il nostro desiderio di mettere in ordine il mondo che ci circonda e di stabilire relazioni.
C’è chi sente un bisogno di mettere le cose in ordine molto più forte di altri, e questo vale anche per me. Pure la scienza si basa principalmente sul desiderio di conoscere sempre meglio il funzionamento dei fenomeni osservabili con i nostri sensi o con gli strumenti inventati dagli scienziati, e metterli in relazione tra di loro e con la nostra vita.
Da quando è apparso il Sars-Cov-2 veniamo confrontati costantemente, e a un ritmo vertiginoso, con una valanga di informazioni e la loro interpretazione. Ne abbiamo sentite così tante…, e alcune affermazioni diffuse un giorno si vedono smentite, corrette o ridimensionate alcuni giorni dopo, con nostro crescente disagio.
In alcuni casi si tratta di opinioni diffuse da personaggi che non si rendono conto delle conseguenze che possono avere le frasi dette con leggerezza, soprattutto tra i non addetti ai lavori. Questo ininterrotto rumore rischia di produrre una sovrastimolazione nei cittadini. A lungo andare anche persone interessate alla corretta informazione possono sviluppare un’avversione e non avere più la forza di digerire il continuo flusso di informazioni mescolate alla disinformazione. Per la maggior parte della gente è molto difficile, se non impossibile, saperle separare. Il quadro generale viene aggravato dalle polemiche e dai colpi bassi che sono all’ordine del giorno, e dal fatto che spesso le notizie negative circolano con più facilità.
Il desiderio di mettere in ordine le cose che osserviamo, soprattutto quelle che ci riguardano personalmente, ci può spingere a immaginare di vedere dei volti (in senso figurativo), ma questa volta senza il meccanismo di difesa che ci comunica l’informazione che non si tratta di vere facce. Alcune persone credono quindi a spiegazioni tanto semplicistiche quanto false pur di trovare un rifugio rilassante in mezzo all’oceano di notizie e opinioni. Penso che sia molto difficile liberare queste persone delle errate convinzioni senza tenere conto degli aspetti psicologici che hanno spianato la strada all’informazione falsa e distorta che prende il nome di “infodemia”.
A questo si aggiunge che siamo tutti stremati dal prolungarsi dell’emergenza sanitaria ed economica, ed è facile arrendersi a un’informazione non corretta ma semplice e rassicurante, perché ci manca la forza di sopportare ulteriormente questa situazione che continua a essere piena di incognite. Le sorprese, come quella delle varianti del coronavirus di cui ormai è accertata la maggiore diffusibilità, ci trovano stanchi ed esausti. Abbiamo le gomme a terra, vogliamo che questo incubo finisca. Vorremmo che il mondo fosse di nuovo in ordine, almeno così come lo conoscevamo prima.
C’è comunque qualcosa su cui possiamo contare, dei porti sicuri che possono rassicurarci e farci scivolare di dosso la valanga di notizie contrastanti e spesso incomprensibili per il linguaggio troppo tecnico, le discussioni, le polemiche. Per prendere fiato e riacquistare le forze e un equilibrio interiore.
Il primo è la fiducia nella scienza che, proprio perché è in continua evoluzione e si autocorregge, ci dà maggiori garanzie rispetto alle spiegazioni semplicistiche senza fondamento.
Il secondo è la consapevolezza che abbiamo i mezzi per poter ridurre il rischio di contagio, e che questi sono molto facili da imparare e mettere in pratica, alla portata di tutti, senza bisogno di capire fino in fondo le caratteristiche del virus e del nostro sistema immunitario, senza essere esperti epidemiologi e senza conoscere l’origine del virus o il mese esatto in cui ha infettato la prima persona.
Mi riferisco alle misure di sicurezza: limitare i contatti, mantenere le distanze dalle altre persone, evitare gli assembramenti, portare la mascherina, lavarsi spesso le mani, cambiare l’aria nelle stanze, evitare ambienti piccoli e chiusi quando ci sono anche altre persone ecc. Invece di vedere queste abitudini come una scocciatura, le possiamo integrare nella quotidianità e in qualcosa che ci unisce alle altre persone, una dimostrazione di rispetto reciproco. Un ulteriore incentivo per considerare queste misure nostre alleate è che sono efficaci anche contro le nuove varianti del virus.
Con il nostro comportamento aiutiamo anche gli altri a considerarle come socialmente desiderabili e a seguirle a loro volta con effetti positivi per tutti.
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