Di recente è circolata su alcuni media italiani e internazionali la notizia che due farmaci frutto della ricerca israeliana sono risultati efficaci nel trattamento di infezioni gravi da SARS-CoV-2, alimentando le speranze in una cura definitiva contro Covid-19 e nella possibilità che si metta presto fine alla pandemia. Ma dire che in Israele Covid-19 sia stato sconfitto non è esatto: vediamo nel dettaglio come stanno le cose.
All’Hichilov Medical Center di Tel Aviv si è concluso con “risultati eccellenti” lo studio clinico di fase I su EXO-CD 24, il farmaco messo a punto per bloccare la tempesta infiammatoria che si ritiene responsabile della maggior parte delle pericolose complicanze di SARS-CoV-2. Dei 30 pazienti ospedalizzati trattati con il nuovo farmaco, 29 sono stati dimessi nell’arco di cinque giorni (la degenza di un paziente è stata più lunga, ma l’esito è comunque stato positivo) [1]. Occorre anche precisare che gli studi di fase I non valutano l’efficacia, ma dovrebbero limitarsi a verificare tollerabilità e sicurezza.
La sperimentazione su Allocetra, l’altro farmaco considerato molto promettente, era in uno stadio più avanzato (fase II) ed è stata portata avanti, anche in questo caso, su pazienti Covid-19 in condizioni critiche. Come si legge in un comunicato stampa di Enlivex, l’azienda produttrice del farmaco, l’89% dei pazienti coinvolti nei trial clinici di fase II (14 pazienti su 16) ha lasciato l’ospedale dopo una media di cinque giorni dall’inizio del trattamento [2].
Quindi significa che avremo presto due farmaci contro Covid-19?
I tempi sono ancora prematuri per concludere che finalmente abbiamo una cura contro l’infezione da SARS-CoV-2. Anche se le sperimentazioni israeliane si sono concluse con successo, entrambi i farmaci sono stati valutati su un numero molto piccolo di pazienti e attraverso studi clinici di tipo open label (tutti i partecipanti erano al corrente di aver ricevuto il trattamento, un aspetto che potrebbe aver influenzato l’esito della sperimentazione).
Come ha evidenziato su Science Media Centre Stephan Evans, professore di farmacoepidemiologia alla prestigiosa London School of Hygiene and Tropical Medicine di Londra, le conclusioni di questi studi preliminari andrebbero valutate con cautela e sarebbe opportuno aspettare l’esito di studi clinici randomizzati, in cui il nuovo farmaco (Evans si riferiva nello specifico ad Allocetra) viene confrontato con il placebo o con trattamenti di comprovata efficacia su pazienti in condizioni simili [3]. Per il momento, dunque, i risultati sono incoraggianti, ma le ricerche dovranno necessariamente essere approfondite.
In Israele c’è stata anche una forte diminuzione dei contagi…
È vero. In base al monitoraggio del Ministero della Salute israeliano, i contagi nelle persone di età maggiore di 60 anni sono diminuiti del 40% dall’inizio della campagna di vaccinazione, mentre le ospedalizzazioni per Covid-19 hanno registrato un calo del 30% nel periodo compreso fra la seconda metà di gennaio e la prima settimana di febbraio.
Dal 19 dicembre a oggi il servizio sanitario israeliano ha inoculato la prima dose del vaccino Pfizer/BioNTech a più del 40% della sua popolazione. Anche se nel Paese è in corso un rigido lockdown da più di un mese (e solo negli ultimi giorni alcune misure sono state allentate), si ritiene che il calo dei contagi sia un segnale degli effetti della campagna vaccinale, oltre che una conseguenza del distanziamento sociale.
Infatti, come ha spiegato alla rivista Nature il biologo computazionale Eran Segal, il tasso di contagio si è ridotto in maniera più significativa nelle città israeliane dove almeno l’85% degli anziani aveva ricevuto la prima dose del vaccino [4]. Inoltre, ha fatto notare Segal, il tasso di diminuzione dei contagi ricalca un andamento diverso da quello osservato a settembre, quando ancora nessun cittadino israeliano era stato vaccinato. Anche a metà settembre, infatti, in seguito all’aumento dei contagi, Israele aveva dato il via a un lockdown totale.
Dunque è possibile che in Israele la pandemia di Covid-19 stia per concludersi?
Purtroppo la situazione è più complessa di quanto sembri. Nonostante i dati relativi al contagio suggeriscano che l’efficacia del vaccino sia altrettanto elevata di quella dimostrata in laboratorio (secondo uno studio condotto da ricercatori israeliani pubblicato in forma di preprint su un archivio aperto, le persone vaccinate avrebbero il 50% in meno della probabilità di contrarre SARS-CoV-2 prima ancora di ricevere la seconda dose [5]), bisogna tener conto di alcuni aspetti.
Negli ultimi giorni è stato registrato un aumento delle infezioni nella fascia d’età infantile: secondo l’associazione dei pediatri israeliani, è possibile che questo aumento rifletta la diffusione, all’interno della popolazione, di una delle varianti del virus, più contagiosa [6].
Inoltre, sebbene Israele sia il primo Paese al mondo per percentuale di persone vaccinate, tutti i cittadini palestinesi (a eccezione di un numero ristretto di medici e altri operatori sanitari) stanno ancora aspettando la prima dose del vaccino, un dato che di fatto rende la nazione vulnerabile in caso di nuove ondate [7].
Infine non è da sottovalutare nemmeno il rallentamento subito dal numero di vaccinazioni eseguite nelle ultime due settimane, che in parte potrebbe essere dovuto alle preoccupazioni infondate sulla sicurezza del vaccino, particolarmente diffuse negli ambienti ultra ortodossi e in altri gruppi della popolazione [8].
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