Il diritto alla salute non può essere messo in discussione?

10 Dicembre 2021 di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Il diritto alla salute non può essere messo in discussioneA questa domanda ha risposto la legge di riforma sanitaria numero 833 del 23 dicembre del 1978. Il primo articolo della nuova legge definiva i nuovi principi che avrebbero dovuto proteggere e promuovere la salute dei cittadini: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana”.

L’articolo 1 proseguiva sottolineando altri aspetti essenziali: “Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”. Uno degli elementi più importanti di queste parole è l’affermazione dell’importanza dell’equità nell’erogazione e dell’accesso alle cure, ma ancora prima nella complessiva promozione della salute.

Dottore, ma non è strano che l’uguaglianza dei cittadini debba essere sottolineata?

Forse oggi può sembrare quasi superfluo. Ma la legge di riforma sanitaria fu promulgata al termine di una lunga stagione di azione sociale e politica che ha messo in discussione l’organizzazione della società quasi a ogni livello [1]. Per esempio, la condizione dei lavoratori era ben diversa dall’attuale: uno degli obiettivi principali dei frequenti conflitti tra lavoratori e imprese era il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche metalmeccaniche, chimiche e nell’edilizia.

L’Italia attraversava “uno dei periodi più intensi della vita sociale, politica ed istituzionale del Paese” [2], che vide approvato il maggior numero di riforme nella storia della Repubblica: riforma dello Stato, con l’istituzione delle Regioni e ripensamento delle autonomie locali, Statuto dei lavoratori, riforma fiscale e legge sulla casa, legge sullo scioglimento del matrimonio, legge per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, riforma della scuola con l’istituzione degli organi collegiali, voto ai diciottenni, istituzione dei consultori familiari, legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, legge 180 di riforma dell’assistenza psichiatrica, riforma sanitaria. Tutto contribuiva a delineare un assetto proprio di uno stato sociale universalistico caratterizzato da un “ampliamento dei diritti sociali” [3].

Ma il diritto alla salute non era già riconosciuto nella Costituzione della Repubblica?

Il diritto alla salute non può essere messo in discussioneCertamente. Ma la legge di riforma sanitaria lo riaffermava con forza, in virtù di quella che alcuni dei protagonisti della sanità italiana di quegli anni definirono una sorta di “maturazione politica” che portò il Paese a una convinzione più radicale circa l’importanza della salute per lo sviluppo umano dei cittadini [4]. “L’Assemblea mondiale della sanità del 1970” scriveva l’igienista Alessandro Seppilli commentando un libro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “ha affermato categoricamente, con la partecipazione di tutti gli Stati aderenti all’Organizzazione, che ‘il diritto alla salute è un diritto fondamentale dell’essere umano’ (…) Ma cosa si vuole intendere come ‘diritto alla salute’? A mio modesto avviso si dovrebbe intendere in primo luogo come ‘diritto alla difesa della salute’, vale a dire alla protezione dei cittadini nei confronti delle cause controllabili di malattia, di infortunio, di malformazione, di disturbo di quell’equilibrio fisico e psichico che caratterizza per l’appunto la salute”.

Dobbiamo sapere che l’Italia giungeva a questo appuntamento con una grande legge di riforma dopo una serie di drammi che avevano colpito il Paese e fasce di popolazione già indebolite dalla povertà: l’epidemia di colera a Napoli e Bari nel 1973, gli oltre 160 operai morti per l’esposizione a sostanze cancerogene nella fabbrica di colori a Ciriè, in Piemonte, intorno alla metà degli anni Settanta, la nube tossica di diossina che seguì lo scoppio del reattore della fabbrica Icmesa di Seveso in Lombardia nel 1976. La legge restituiva ai cittadini la titolarità di un diritto che troppe volte era stato negato, mettendo la persona al centro di un sistema più “vicino” al cittadino: come si legge sempre nell’articolo 1 della legge, “L’attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini.”

Quindi, anche la “prossimità” di cui si sente molto parlare è già alla base del Servizio Sanitario?

Sì: se il perno della riforma era il diritto alla salute, tutto il disegno del nuovo assetto della prevenzione e dell’assistenza doveva essere ricondotto al cittadino. “È a lui che fanno capo le strutture; è su di lui che sono foggiati gli organismi destinati a realizzare il suo diritto. E poiché tale diritto comprende globalmente la promozione, la difesa (prevenzione), la cura del danno e la riabilitazione, così globale dovrà essere il servizio e comprendere tutti questi momenti di intervento. Quindi capillarità e globalità e, possiamo aggiungere, continuità del rapporto del cittadino col servizio; rapporto che non può limitarsi ad un incontro occasionale (com’è oggi in caso di malattia), ma deve assistere il cittadino per tutta la vita, a protezione del suo patrimonio di salute” [4].

La salute doveva dunque essere interpretata come una sorta di impresa collettiva. Questo, del resto, era uno dei messaggi principali anche della Dichiarazione di Alma Ata promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, documento che fu pubblicato anche in Italia nel 1979 a pochi mesi dall’edizione internazionale [5]. “La convinzione di una responsabilità condivisa nel mantenimento della salute fu uno dei fattori che probabilmente favorì l’eterogeneità del movimento per la riforma sostenuto da associazioni di volontariato, gruppi di malati e familiari, parte del movimento di liberazione della donna, oltre naturalmente a una parte della medicina ospedaliera e universitaria” [6].

Forse, alcuni punti chiave della legge di riforma sanitaria del 1978 – alcuni proprio riferiti al diritto alla salute – non sono stati valorizzati nel modo migliore negli anni successivi: per esempio l’integrazione della tutela e della promozione sociale all’interno dell’assistenza sanitaria. Senza contare che per garantire la salute per tutti è necessario un finanziamento adeguato sia in termini di strutture e di servizi, sia in termini di disponibilità di professionisti sanitari – medici, infermieri, farmacisti e altro personale – adeguatamente formato, aggiornato e protetto nello svolgimento del proprio lavoro. Il problema delle risorse umane ed economiche è un punto critico che non riguarda solo l’Italia, ovviamente, e che in molti contesti compromette alla radice la copertura sanitaria universale.

Dottore, cosa intende con copertura sanitaria universale?

Il diritto alla salute non può essere messo in discussioneÈ un concetto definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come l’accesso a servizi di promozione della salute, di prevenzione, cura e riabilitazione, in risposta ai bisogni della popolazione e a costi sostenibili [7]; in pratica riassume l’idea che qualunque persona debba ricorrere a servizi sanitari dovrebbe poterlo fare senza che i costi – diretti e indiretti – da sostenere costituiscano una barriera.

Affrontare le disuguaglianze in ambito sanitario per avanzare verso la copertura universale significa promuovere un’offerta adeguata di servizi, rimuovendo progressivamente le barriere finanziarie e di altra natura all’accesso ai servizi, proteggendo le famiglie dalle conseguenze economiche che potrebbero altrimenti derivare proprio dal ricorso ai servizi sanitari. “In molti Paesi, la spesa sanitaria totale rimane troppo bassa per riuscire a soddisfare i bisogni minimi di salute della popolazione. L’inadeguatezza del sistema di finanziamento della sanità è spesso legata a bassi livelli di reddito della popolazione e all’assenza o limitato sviluppo di forme assicurative individuali o mutualistiche” [8].

La difficoltà di accesso alle cure, però, è un problema che riguarda solo i Paesi poveri, vero?

Purtroppo non è così: sebbene sia vero che quasi la metà delle nazioni non abbia la possibilità di finanziare adeguatamente le prestazioni sanitarie mettendole a disposizione della popolazione, le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sono un problema che attraversa tutte le nazioni. In molti casi, infatti, i sistemi sanitari basati sulla compartecipazione alla spesa favoriscono le persone più ricche, “dotate di maggiori capacità di acquistare i servizi necessari e di proteggersi dai rischi rispetto ai poveri” [8].

È il caso, per esempio, di nazioni come gli Stati Uniti, dove così si esprime un’importante organizzazione socio-sanitaria: “Le disparità in materia di salute e assistenza sanitaria sono spesso viste attraverso la lente della razza e dell’etnia, ma si verificano in un’ampia gamma di dimensioni. Ad esempio, si verificano disparità tra status socio-economico, età, geografia, lingua, genere, stato di disabilità, stato di cittadinanza e identità e orientamento sessuale. Le disparità si verificano nel corso della vita, dalla nascita, fino all’età adulta e tra gli anziani” [9].

Quindi, consiglia di proteggerlo, il diritto alla salute?

Direi proprio di sì. Ricordando che oltre a essere individuale è anche – se non soprattutto – un diritto collettivo, di comunità, di popolazione. È il diritto alla protezione dalla malattia, all’accesso alle cure, alla appropriatezza degli interventi sanitari, alla serenità di una vita non medicalizzata. Ma, oltre a essere un diritto, la salute è anche da intendere come una libertà basata sull’informazione e sulla partecipazione.

Autore Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Luca De Fiore è stato presidente della Associazione Alessandro Liberati – Network italiano Cochrane, rete internazionale di ricercatori che lavora alla produzione di revisioni sistematiche e di sintesi della letteratura scientifica, utili per prendere decisioni cliniche e di politica sanitaria (www.associali.it). È direttore del Pensiero Scientifico Editore. Dirige la rivista mensile Recenti progressi in medicina, indicizzata su Medline, Scopus, Embase, e svolge attività di revisore per il BMJ sui temi di suo maggiore interesse: conflitti di interesse, frode e cattiva condotta nel campo della comunicazione scientifica. Non ha incarichi di consulenza né di collaborazione – né retribuita né a titolo volontario – con industrie farmaceutiche o alimentari, di dispositivi medici, produttrici di vaccini, compagnie assicurative o istituti bancari.
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