Poco meno di cinquanta ricoveri a Padova, un decesso a Venezia. Le ultime notizie relative alla diffusione in Veneto e in altre regioni del Nord Italia del virus West Nile – la cui infezione causa la cosiddetta malattia di West Nile o Febbre del Nilo occidentale – stanno destando una certa preoccupazione. “In questi giorni la pressione della West Nile sulle strutture dell’ospedale è progressivamente aumentata” ha dichiarato il 3 agosto a SkyTg24 il direttore generale dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Padova Giuseppe Dal Ben. “Da qualche singolo caso, che si poteva ritenere sporadico, siamo oggi a più di 10 persone ricoverate, 12 per l’esattezza, in una fascia di età dai 30 agli 80 anni. Solo negli ultimi tre giorni abbiamo avuto 8 conferme di positività in pazienti che abbiamo ricoverato per i gravi sintomi della West Nile presso le nostre strutture” [1]. Cerchiamo di capire, allora, di cosa si tratta, quali sono i rischi associati a questa patologia e cosa possiamo fare per proteggerci.
Cos’è il virus West Nile?
La malattia di West Nile è causata da un virus, denominato appunto West Nile, che si trasmette generalmente dalle zanzare comuni agli uccelli e viceversa. Talvolta le zanzare possono però trasmettere il virus anche a ospiti accidentali, tra cui i cavalli e gli esseri umani. Una volta giunto a questo tipo di ospiti, tuttavia, il ciclo di trasmissione si ferma perché il virus non raggiunge concentrazioni tali da determinare, in condizioni normali, un contagio. Gli unici rischi in questo senso riguardano altri mezzi di infezione, come trapianti di organo, trasfusioni di sangue e trasmissioni madre-feto durante una gravidanza [2].
Il virus è stato isolato per la prima volta nel 1937 in una donna residente in Uganda, nel distretto del Nilo occidentale, da cui prende il nome. L’agente infettivo è però giunto all’onore delle cronache nel 1999, quando l’infezione – che circolava in Israele, dove aveva causato molti decessi in diverse specie di uccelli, e Tunisia – è stata esportata nella città di New York, negli Stati Uniti. Da qui la malattia di West Nile si è poi diffusa in tutto il Nord America e, successivamente, anche in altre zone del mondo: focolai epidemici si sono registrati, ad esempio, in Grecia, Romania, Russia, Canada e Venezuela [3].
In Italia esiste da più di dieci anni un sistema di sorveglianza della malattia di West Nile, coordinato dal Ministero della Salute. I dati raccolti attraverso questo tipo di monitoraggio mostrano come nel 2022 il virus abbia iniziato a circolare più precocemente rispetto agli anni precedenti, con l’individuazione delle prime zanzare positive all’infezione che risale al 7 giugno. Tuttavia, come ha recentemente spiegato Concetta Castilletti, coordinatrice del Gruppo di Lavoro sulle Infezioni Virali Emergenti (GLIVE) dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI), “il numero dei casi oggi è più alto, ma comunque confrontabile a quello registrato negli altri anni non epidemici, e lontano dai valori registrati nel 2018” [4]. Proprio quattro anni fa, infatti, si era registrato nel nostro Paese un notevole aumento dei contagi, localizzati principalmente in Emilia-Romagna e Lombardia, con riscontri sia negli esseri umani sia nelle zanzare [5,6].
Quali sono i sintomi e le possibili conseguenze dell’infezione da virus West Nile?
Nell’80% dei casi le persone che contraggono il virus West Nile non sviluppano alcun sintomo. Nel resto dei casi, invece, i soggetti colpiti vanno incontro a una sindrome simil-influenzale che si manifesta – nel corso di un periodo di incubazione che può andare dai 2 ai 14 giorni – con febbre, mal di testa, mal di gola, dolore muscolare e articolare, congiuntivite, eruzioni cutanee (solitamente a livello del tronco, degli arti e della testa), ingrossamento dei linfonodi, anoressia, nausea, dolori addominali, diarrea e sintomi respiratori.
Solo in meno dell’1% dei casi (circa 1 su 150), infine, il virus può portare allo sviluppo di sintomi neurologici – come rigidità del collo, stato di stupore e disorientamento – sovrapponibili a quelli di malattie come la meningite, l’encefalite e la poliomielite [2,7]. Le persone più a rischio sono gli anziani, i soggetti con un sistema immunitario compromesso (in cui il periodo di incubazione può arrivare anche a 21 giorni [8]) e quelli con altre patologie, come tumori, diabete, ipertensione e malattie renali [4].
Esistono dei vaccini o delle terapie efficaci?
Come indicato sul sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, attualmente non esistono vaccini in grado di proteggere l’essere umano dall’infezione da virus West Nile [3]. Allo stesso modo, non esistono neanche terapie specifiche. Nella maggior parte dei casi in cui i pazienti sviluppano dei sintomi, tuttavia, questi scompaiono autonomamente nel giro di qualche giorno o al massimo settimana. Quando è necessario un ricovero, invece, il trattamento si basa principalmente sulla somministrazione di liquidi, impiego della respirazione assistita e, successivamente, programmi di riabilitazione utili a ottenere un recupero completo [2,9].
Si può fare qualcosa per proteggersi?
La strategia di prevenzione più efficace nei confronti della malattia di West Nile consiste nell’evitare le punture di zanzara. A un livello di salute pubblica, quindi, gli interventi principali consistono nella bonifica ambientale delle aree più favorevoli alla riproduzione e alla circolazione di questi insetti. Anche a un livello individuale è però possibile mettere in atto delle strategie protettive, come l’utilizzo di repellenti cutanei, di insetticidi a uso domestico e zanzariere. Inoltre, anche i singoli cittadini possono mettere in atto delle misure utili a ridurre le possibilità delle zanzare di riprodursi. Rientrano tra queste tutte le azioni utili a evitare la formazione di depositi di acqua gli insetti possono deporre le uova: mettere al riparo dalla pioggia tutto ciò che può raccogliere acqua, chiudere con coperchi e teli i recipienti che non possono essere spostati, svuotare i sottovasi delle piante almeno una volta a settimana [2].
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