“Le persone colpite da tumore del polmone e della testa-collo potrebbero essere più resistenti alla infezione da SARS-CoV-2 rispetto alle persone sane”. Così si apre un comunicato stampa dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma (IFO) che è stato rapidamente ripreso da molti media italiani [1]. “A mettere in luce aspetti inattesi e sorprendenti sulle interazioni tra Covid-19 e cancro” prosegue il comunicato “è un lavoro appena pubblicato sulla rivista Journal of Experimental & Clinical Cancer Research, frutto della intensa collaborazione tra l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena, l’Istituto San Gallicano, l’Università di Milano e l’Università di Chicago [2]. Lo studio prende in considerazione due tipi di tumori: testa-collo e polmone, ovvero i tumori di quegli organi, delle vie aeree alte e basse, maggiormente attaccati dal nuovo coronavirus. Sono stati analizzati i profili di espressione genica di 478 pazienti affetti da tumore della testa-collo, 510 affetti da adenocarcinoma polmonare e 501 da tumore del polmone a cellule squamose”.
Dottore, è una buona notizia?
In effetti, è questa la domanda che molte persone si sono fatte leggendo gli articoli usciti sui media italiani. Sarebbe una buona notizia se i risultati derivassero già da una sperimentazione clinica e non da un’ipotesi interessante ma che ha necessariamente bisogno di conferme. Se leggiamo il testo diffuso dall’IFO, vediamo che i ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sui meccanismi molecolari che determinano la resistenza all’infezione da SARS-CoV-2. “I risultati ottenuti“ spiegano “dimostrano che le cellule tumorali, rispetto alle cellule normali, presentano bassi livelli di una proteina, TMPRSS2, necessaria per l’entrata del virus nelle cellule: una sorta di protezione all’infezione. I tumori della testa-collo maggiormente aggressivi e con una prognosi più infausta, presentano livelli ancora più bassi di TMPRSS2, e sono quindi ancora più resistenti all’infezione. Responsabili di tale meccanismo sono le piccole molecole di RNA, chiamate microRNA, in grado di regolare l’attività dei geni che producono proteine e presenti in alte quantità nelle cellule tumorali. I microRNA, potrebbero quindi rivelarsi degli efficaci strumenti terapeutici per contrastare l’infezione da Coronavirus”.
“Potrebbero rivelarsi”: anche nelle parole degli stessi ricercatori, al momento è ancora d’obbligo usare una forma condizionale.
Cosa sappiamo del decorso di Covid-19 nei pazienti oncologici?
Premesso che parlare genericamente di “cancro” è molto rischioso, dal momento che con questo termine ci si riferisce a molte malattie diverse, disponiamo di numerose evidenze che mostrano come le persone che soffrono di patologie oncologiche non soltanto non sono più “protette”, ma sono mediamente più fragili rispetto alla popolazione che gode di buona salute.
Un’analisi recente mostra che circa da una a quattro su cento persone malate di Covid-19 è malata di cancro. La proporzione di pazienti con patologia oncologica grave è risultata molto più alta nella parte dei pazienti con Covid-19 che erano gravemente malati o deceduti: le persone malate di cancro hanno un rischio più elevato (fino all’8% maggiore) di sviluppare un’infezione da SARS-CoV-2 rispetto alla popolazione generale. I pazienti con cancro che sviluppano Covid-19 tendono ad avere esiti molto peggiori (la mortalità sarebbe compresa tra 11,4% e 35,5%) rispetto a quelli senza cancro [3]. Alcuni studi suggeriscono che i pazienti malati di cancro possano essere più vulnerabili alla componente respiratoria di Covid-19, che come sappiamo è molto rilevante [4]. Altra ipotesi oggetto di studio è il possibile maggior rischio nelle persone che assumono farmaci immunoterapici, mentre non ci sono evidenze di complicanze dovute a recenti cicli di chemioterapia [4].
Va considerato che diverse malattie oncologiche hanno un decorso simile a quello delle patologie croniche. Pensiamo per esempio ad alcune forme di cancro della mammella o del colon-retto. Ebbene, proprio in quanto patologie che colpiscono persone “lungo sopravviventi” ma sottoposte a terapie e indebolite dalla malattia è indubbio che espongano chi ne soffre a un rischio maggiore. Del resto, lo dicono gli stessi autori dell’articolo segnalato dall’ufficio stampa dell’IFO: “Clinicamente, è sempre più evidente che i malati di cancro rappresentano, almeno in parte, il target di popolazione più vulnerabile dell’infezione da SARS-CoV-2. Ciò è certamente dovuto a molti fattori, tra cui l’aggressività del tipo di tumore e gli effetti collaterali del trattamento del cancro” [2].
Il rischio aumentato dei malati di cancro dipende solo dalla loro maggiore fragilità?
No, un forte rischio dovuto al possibile ritardo nell’erogazione dell’assistenza è stato documentato già a partire dalle prime fasi della pandemia. “In questa epidemia di Covid-19” scrivevano dei medici oncologi cinesi nella scorsa primavera “il rischio maggiore per i pazienti con cancro è l’impossibilità di ricevere i servizi medici necessari (sia in termini di accesso all’ospedale che di fornitura di cure mediche normali una volta raggiunto il presidio ospedaliero) a causa dell’epidemia. Da gennaio 2020, più di 30.000 operatori sanitari sono arrivati a Wuhan per aiutare a gestire i pazienti, prevenire la diffusione di Covid-19 e contenere l’epidemia, che quindi ha indebolito i servizi medici al di fuori di Wuhan. Inoltre, viene suggerito ai pazienti di non recarsi in ospedale a causa del rischio di infezione. Di conseguenza, lo svolgimento di alcuni studi clinici viene ritardato; la quarantena forzata, come è avvenuto a Wuhan, rende più complicato il rispetto dei controlli periodici e la continuità delle cure e quando si verificano gravi complicazioni o emergenze in pazienti con tumori avanzati, i ritardi del trattamento o l’indisponibilità destano preoccupazione” [5].
Dopo la prima fase della pandemia, la situazione è migliorata?
In Italia, le Regioni si sono impegnate per mettere in condizione i malati oncologici di continuare a ricevere l’assistenza sanitaria programmata, compatibilmente alle difficoltà strutturali e all’emergenza che in molti casi ha letteralmente rivoluzionato anche la logistica ospedaliera e ambulatoriale.
Bisogna considerare che il cancro è un insieme complesso di malattie le cui prognosi sono influenzate dai tempi della diagnosi e dell’intervento. “In generale” ha spiegato Norman E. Sharpless, direttore dell’Istituto statunitense contro il cancro “prima si riceve un trattamento contro il cancro, migliori sono i risultati. C’è già stato un forte calo delle diagnosi negli Stati Uniti dall’inizio della pandemia, ma non c’è motivo di credere che l’effettiva incidenza del cancro sia diminuita. I tumori che mancano ora verranno ancora alla luce alla fine, ma in una fase successiva e con prognosi peggiori”. In molti ospedali, i cosiddetti trattamenti contro il cancro e gli interventi chirurgici elettivi sono stati rimandati per poter garantire assistenza ai pazienti Covid-19. In alcuni casi, le cure chemioterapiche e radioterapiche sono state abbreviate e gli interventi chirurgici rimandati. “Non c’è dubbio che la pandemia di Covid-19 stia causando una diagnosi ritardata e una cura non ottimale per le persone con cancro” [6].
In conclusione: cosa sappiamo della relazione tra Covid-19 e cancro?
Primo, in un contesto di complessiva incertezza riguardo le conoscenze su Covid-19 la ricerca sta progredendo e sta mettendo a fuoco le prove più rilevanti. Secondo, le persone che soffrono di cancro sono generalmente più vulnerabili. Terzo, parlare di maggiore “protezione” è attualmente improprio, perché potrebbe creare false aspettative in persone indubbiamente più fragili della media. Pertanto, le persone malate di tumore dovrebbero scrupolosamente seguire ogni possibile precauzione per prevenire il contagio.
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