L’accumulo compulsivo è una malattia?

29 Ottobre 2025 di Maria Frega (Pensiero Scientifico Editore)

Abiti che non indossiamo più, vecchi giornali, scatole vuote, scontrini: tutti noi tendiamo a conservare qualcosa. A volte si tratta di oggetti dal valore puramente affettivo, legati a un ricordo che non vogliamo perdere, altre volte li teniamo perché “potrebbero servire”. Ma quando questa tendenza smette di essere una semplice abitudine disordinata e si trasforma in qualcosa di più serio?

Per alcune persone, separarsi dagli oggetti diventa un’impresa impossibile, e gli spazi abitativi si riempiono progressivamente fino a compromettere la salute e il benessere mentale. Non si tratta di pigrizia o di mancanza di organizzazione: dietro l’accumulo può esserci un disturbo psicologico. La disposofobia, diventata nota con reality televisivi e casi di cronaca, causa rischi concreti, importanti da riconoscere per aiutare chi ne soffre.

Dottore, accumulare troppe cose è una malattia?

Sì, in alcuni casi accumulare troppe cose può essere una condizione patologica. Si tratta del disturbo da accumulo (o disposofobia, dall’inglese hoarding cioè “accumulazione”), e si manifesta con la persistente difficoltà a eliminare i propri beni. La persona che ne soffre continua a conservare nella propria abitazione numerosi oggetti, anche inutili o danneggiati, perché separarsene provoca un profondo disagio.

È importante non confondere il disturbo da accumulo con il collezionismo, che è invece una raccolta curata e intenzionale di oggetti specifici, né con il naturale attaccamento emotivo a beni che sono appartenuti a una persona cara che non c’è più. E, naturalmente, è ben diverso dal disordine delle camerette dei ragazzi.

L’accumulo compulsivo, o seriale, è oggi riconosciuto ufficialmente come patologia a sé stante nel DSM-5 (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Pur appartenendo allo spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi, viene classificato separatamente proprio per le sue caratteristiche specifiche [1].

Come si riconosce?

L’Associazione degli psichiatri americani ha stilato un elenco di sintomi e manifestazioni che identificano gli accumulatori compulsivi [2, 3]:

  • difficoltà insuperabile a buttare via, vendere, riciclare, regalare;
  • accumulo di oggetti (e rifiuti, talvolta anche organici) in equilibrio precario, disordinato, in ogni spazio della casa, compresi letti, scale, lavandini e bagno;
  • molto tempo impiegato a spostare gli oggetti o cercare ciò che è effettivamente utile;
  • conflitti con persone che offrono aiuto per eliminare il disordine;
  • la convinzione che qualsiasi cosa possa essere utile in futuro o che abbia un valore economico;
  • in casi più rari, accumulo di animali domestici.

Secondo diversi psicologi è possibile tracciare un identikit dell’accumulatore seriale. Si tratta di una persona che spesso vive da sola, che non ha una vita sociale attiva; inoltre, ha difficoltà a prendere decisioni e a gestire le emozioni, la sofferenza in particolare.

L’ipotesi è che l’accumulatore compulsivo trasferisca sugli oggetti non buttati la facoltà di sentirsi al sicuro, persino felice. Un altro tratto distintivo caratteristico è il non rendersi conto della gravità della condizione. Di conseguenza, si nega l’evidenza e solo raramente si chiede aiuto; quando il problema emerge, spesso ha già causato danni.

Un ulteriore segnale d’allarme è lo shopping compulsivo. Solo una minoranza delle persone che amano comprare con frequenza, tuttavia, diventa o rischia di diventare accumulatore seriale [4, 5].

Chi è più a rischio, allora? E quali sono le cause?

Nell’immaginario collettivo, alimentato anche da reality show sul tema e da casi di cronaca, si è imposta la figura dell’accumulatore come una persona anziana, in difficoltà economiche, isolata socialmente. Ma non è sempre così. Sebbene la disposofobia sia più comune in età avanzata, secondo gli psichiatri i sintomi precoci possono manifestarsi già nell’infanzia e nell’adolescenza e, se non controllati, diventano progressivi e cronici.

Le cause non sono chiare. Si è notato, nei casi analizzati, che spesso all’origine del disturbo c’è un trauma non gestito, un evento che ha comportato la perdita di una persona come della propria abitazione [2]. Si sta studiando anche l’ipotesi della familiarità ed è invece accertata, in un caso su tre, la compresenza di depressione o ansia e disturbi mentali come, appunto, quello ossessivo-compulsivo [3, 6].

Dottore, perché accumulare eccessivamente è pericoloso?

Le conseguenze più evidenti sono un peggioramento della qualità della vita per chi accumula e per gli eventuali conviventi. Soffrire di disposofobia è, inoltre, associato a problemi sul lavoro.

Emergono inoltre rischi per la salute e per la sicurezza. L’accumulatore, soprattutto se anziano, è soggetto a cadute e lesioni, alla contaminazione alimentare e a infestazioni (anche di insetti o di animali, come topi), oltre a disattenzioni che causano incendi e danni all’abitazione. Gli ingombri in cucina e in bagno possono anche impedire la corretta alimentazione e l’igiene personale [2, 3].

Esistono terapie per questo disturbo?

Ciò che gli accumulatori seriali conservano non è tanto l’oggetto in sé, quanto il suo significato: ricordi, emozioni, un senso di sicurezza, e l’illusione di controllo legata ai beni materiali. Si seguono, dunque, generalmente i trattamenti psicologici riservati a chi soffre di depressione o di disturbo ossessivo compulsivo.

La terapia più diffusa consiste in farmaci antidepressivi e, quando il paziente è collaborativo, la psicoterapia cognitivo-comportamentale è efficace. Naturalmente occorre anche un aiuto pratico, per rendere abitabile e sicura l’abitazione, stimolando il paziente a liberarsi consapevolmente degli oggetti accumulati [4, 5].

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Autore Maria Frega (Pensiero Scientifico Editore)

Maria Frega è sociologa, specializzata in comunicazione, e scrittrice. Si occupa di scienza, innovazione e sostenibilità per un'agenzia di stampa e altri media. Sugli stessi temi cura contenuti per testi scolastici e organizza eventi di divulgazione con associazioni ed enti pubblici. È inoltre editor di saggistica e tiene corsi di scrittura anche nelle scuole e in carcere. I suoi ultimi libri sono Prossimi umani e Filosofia per i prossimi umani, con Francesco De Filippo per Giunti Editore.
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