Provate a cercare su Google “cannabis e Covid-19”. Vi accorgerete che nella prima pagina di risultati nove link su dieci rimandano ad articoli sulle potenzialità della cannabis come trattamento preventivo o rimedio per l’infezione da SARS-CoV-2. Solo un link, invece, riguarda il consumo di cannabis – e i possibili effetti negativi sulla salute – nel corso della pandemia.
Ma guardiamo alcuni dei titoli dei risultati della ricerca: “CBD e THC come antivirali contro SARS-CoV-2”, “Cannabis rimedio per il Covid-19? Lo studio Usa: «CBD orale è un potente bloccante»”, “La cannabis può prevenire l’infezione da Covid-19” e ancora “La cannabis può curare il long Covid? Scatta il test su 1.000 pazienti”. È evidente, insomma, che l’ipotesi di un possibile beneficio della cannabis nell’ambito dell’infezione da SARS-CoV-2 è oggetto di studio da parte della comunità scientifica. Altrettanto evidente, tuttavia, è che l’idea piace ai giornali e ai giornalisti, che non perdono occasione per rilanciarla. È quindi utile andare a vedere quali sono le evidenze scientifiche prodotte fino a oggi su questo tema e quali conclusioni permettono di trarre.
Dottore, la cannabis viene utilizzata in ambito medico?
Sì, anche se va ricordato che c’è cannabis e cannabis. A seconda della concentrazione di alcune molecole presenti nei fiori di queste piante, infatti, la cannabis sativa può produrre sostanze molto diverse tra loro [1].
Da un lato c’è la cosiddetta cannabis light, ricca di CBD (insieme di composti chimici privi di effetti stupefacenti) e con una concentrazione di THC (composto chimico con effetti stupefacenti) inferiore allo 0,2% o 0,3%, venduta legalmente e utilizzata, ad esempio, nel trattamento di alcune rare forme di epilessia in aggiunta ai farmaci tradizionali [2].
Dall’altro lato c’è la marijuana, caratterizzata da un livello di THC superiore ai limiti di legge, che è illegale per scopi ricreativi ma utilizzata o studiata, in ambito medico, per il trattamento di condizioni come dolore cronico, insonnia, nausea e vomito da chemioterapia, anoressia, epilessia e altre [2].
Cosa sappiamo sulla relazione tra cannabis e Covid-19?
Già nell’agosto del 2020, a pochi mesi dall’inizio della pandemia, alcuni ricercatori parlavano di un possibile ruolo della cannabis nel trattamento di Covid-19. In particolare, due ricercatori della William Paterson University di Wayne (Stati Uniti) suggerivano che “l’aggiunta di cannabis e cannabinoidi al trattamento per Covid-19 potrebbe essere utile per contrastare le infezioni da SARS-CoV-2” concludendo però che “sono necessari più studi e prove” [3].
L’idea alla base di questa possibilità, poi messa in evidenza anche da altri gruppi di ricerca [4], era che l’effetto antinfiammatorio di CBD e THC potesse avere un ruolo nel disinnescare uno dei meccanismi alla base dei problemi respiratori dei pazienti affetti da Covid-19 [5].
Gli studi sono poi arrivati, a partire dal 2021. Uno studio pubblicato nei primissimi giorni dell’anno sulla rivista Scientific Reports, ad esempio, ha indagato – su campioni di cellule polmonari analizzate in provetta – il potere antinfiammatorio della cannabis in presenza di Covid-19, prendendo in esame diversi parametri coinvolti nella risposta del nostro sistema immunitario all’infezione [6]. Dai risultati è emerso che i trattamenti a base di cannabinoidi potrebbero avere un effetto clinico a livello delle cellule polmonari. Tuttavia, come sottolineano gli autori stessi, “mentre l’utilizzo di terapie a base di cannabis per Covid-19 viene analizzato in altri studi bisogna essere cauti nel proporli, come suggerito da alcuni media, ai pazienti” e “utenti e operatori sanitari dovrebbero evitare di usare la cannabis per il trattamento o la prevenzione di Covid-19”.
Altri studi preliminari, realizzati sempre su campioni analizzati in laboratorio, hanno poi individuato altri possibili meccanismi che potrebbero essere implicati in un potenziale beneficio della cannabis nei pazienti affetti da infezione da SARS-CoV-2. Uno di questi, ad esempio, ha messo in evidenza come la somministrazione di cannabinoidi fosse in grado di bloccare l’ingresso del virus – sia nelle forma originale che nelle varianti Alpha e Delta – all’interno delle cellule polmonari [7]. Uno studio pubblicato solo qualche settimana fa su Science Advances, invece, ha individuato – in un campione di topi – un effetto del CBD sulla capacità di SARS-CoV-2 di replicarsi e diffondersi [8].
Esistono prove dell’efficacia della cannabis in pazienti con Covid-19?
No, almeno per ora. Le uniche prove riguardanti esseri umani provengono dallo studio di Science Advances, il quale prevedeva, oltre alle analisi in provetta e sui topi, anche un’indagine su pazienti che assumevano CBD. Nello specifico i ricercatori hanno preso in considerazione circa 1.200 soggetti che assumevano CBD 100 mg/mL per bocca come trattamento per l’epilessia e altrettanti soggetti che invece non assumevano questo composto, mettendo a confronto i tassi di infezione dei due gruppi. I risultati hanno messo in evidenza una percentuale di infezioni minore nel gruppo di soggetti in trattamento con CBD (6,2%) rispetto a quelli non trattati (8,9%). Tuttavia, come sottolineato dagli stessi autori, questi risultati non sono sufficienti per stabilire la reale efficacia del CBD come trattamento preventivo per Covid-19. “Raccomandiamo fortemente – scrivono a conclusione del loro articolo – di non cadere nella tentazione di assumere CBD nelle forme attualmente disponibili come terapia preventiva o trattamento per Covid-19, specie in mancanza di uno studio clinico randomizzato realizzato in modo rigoroso” [8].
Nell’ambito di Covid-19 il consumo di cannabis può avere anche effetti negativi?
Mentre i potenziali effetti benefici della cannabis contro Covid-19 restano ancora da stabilire, è invece noto che l’inalazione del fumo di cannabis, così come il fumo di tabacco, può avere effetti negativi sul sistema respiratorio. Di conseguenza, come si legge sul sito dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri, l’abitudine al fumo “potrebbe a sua volta aumentare la suscettibilità al contagio e determinare un aggravamento del quadro clinico di questa malattia” [9]. Già a maggio 2020, ad esempio, uno studio cinese pubblicato aveva individuato un rischio di 14 volte superiore, per i soggetti fumatori affetti da Covid-19, di sviluppare complicanze rispetto ai non fumatori [10].
In un articolo di commento pubblicato a gennaio 2021, un gruppo di ricercatori brasiliani ha analizzato i diversi rischi, sia per la salute fisica che psichica, associati al consumo di cannabis durante la pandemia di Covid-19 [11]. “I consumatori di marijuana – scrivono nel loro articolo – possono essere più vulnerabili al contagio e corrono un rischio maggiore di peggioramento delle condizioni cliniche legate all’infezione da covid-19. Questo può essere spiegato sia attraverso l’azione della sostanza psicoattiva sul sistema nervoso centrale e sul sistema immunitario, oltre che per i metodi utilizzati solitamente per assumere la sostanza. Inoltre, il comportamento dei consumatori di marijuana può renderli ancora più vulnerabili all’infezione da SARS-CoV-2”.
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